EPILESSIA

UN PO' DI STORIA
L’epilessia, dal  greco “epilambanein” che significa essere sopraffatti, essere colti di sorpresa, è una malattia tra le più diffuse al mondo, senza confini geografici, razziali o sociali. Si presenta sia negli uomini che nelle donne e può manifestarsi in qualunque periodo della vita.
Per W.G. Lennox, grande epilettologo statunitense degli anni Sessanta, i soggetti con epilessia soffrono più a causa dell'atteggiamento che la gente ha nei loro confronti che non a causa della malattia stessa. 
Fin dall'antichità, infatti, in diverse parti del mondo ed in culture differenti, le persone con epilessia furono considerate “prescelte” o “possedute”, a seconda della prevalente credenza popolare: affette da un “male sacro” dovuto all’intervento divino o, all’opposto, in balia di spiriti demoniaci. 
La convinzione che si trattasse di una malattia infettiva, il cui contagio sarebbe avvenuto attraverso il respiro o la saliva, è perdurata fino al XVIII secolo ed ha notevolmente influenzato il comportamento della società verso le persone con epilessia. 
Eppure molti sono stati i personaggi affetti da questa patologia che hanno ottenuto significativi risultati nella vita : Alessandro Magno, Pietro il Grande, Giulio Cesare, Richelieu, Carlo V, Giovanna d’Arco, Handel, Berlioz, Flaubert, Petrarca, Byron, Van Gogh, Dostoevskij, Gershwin, e tanti altri.
Un aumentato interesse psichiatrico ha condotto poi a studi sul comportamento delle persone con epilessia, mettendo in luce come le condizioni sociali fossero in gran parte responsabili della “condizione epilettica”: i malati venivano infatti evitati e isolati in ogni ambito sociale.
E' importante educare l'opinione pubblica su ciò che realmente è l' epilessia per creare una cultura della solidarietà che vinca i pregiudizi e l'emarginazione.
COSA E' L'EPILESSIA? COME SI MANIFESTA?
L'epilessia non è una malattia unica. Infatti, è più corretto parlare di "Epilessie", perché innumerevoli sono le cause scatenanti e le modalità delle crisi.
E' quindi impossibile descrivere tutte le forme di epilessia ma, in termini generali, possiamo dire che si tratta di una malattia che si manifesta con scariche eccessive di un gruppo di cellule del tessuto cerebrale, i neuroni.
Durante la crisi si verifica una reazione improvvisa ed abnorme, una sorta di "corto circuito" del tessuto nervoso cerebrale che può comportare un'alterazione, assolutamente involontaria, del comportamento.
Il 70% delle epilessie viene adeguatamente tenuto sotto controllo con i farmaci, il che significa assenza di crisi o crisi molto sporadiche cioè con cadenza annuale o più che annuale.
Il rimanente 30% invece non è adeguatamente controllato dai farmaci con conseguente maggiore frequenza di episodi, tali epilessie sono definite farmaco-resistenti.
In genere le crisi epilettiche non sono pericolose per la vita di un soggetto; possono diventarlo se si verificano quando il soggetto sta compiendo un'attività pericolosa come arrampicarsi su un albero o su un'impalcatura, fare attività subacquea, guidare l'auto, fare il bagno senza essere sorvegliati, etc.
Le crisi sono inoltre pericolose quando si ripetono a distanza di pochi minuti l'una dall'altra o quando durano più di 5-10 minuti.
E' consigliabile in questi casi chiamare il medico perché il trattamento precoce di crisi prolungate si associa ad una percentuale maggiore di successo.
PAROLE DA CONOSCERE
Aura: complesso di manifestazioni sensoriali o psichiche, differenti da individuo ad individuo, che precedono una crisi epilettica.
Epilessia generalizzata: malattia in cui le scariche elettriche anomale avvengono contemporaneamente nei due emisferi cerebrali.
Epilessie parziali o focali: malattia in cui le scariche elettriche anomale iniziano in una determinata parte del cervello.
Epilessia secondariamente generalizzata: malattia in cui le scariche iniziano localmente per poi diffondersi a tutto il cervello.
Epilessia genetica: malattia che origina da una specifica mutazione genetica.
Epilessia sintomatica: malattia la cui causa è riscontrabile anatomicamente in una lesione cerebrale visibile con le tecniche di diagnostica per immagini.
Epilessia criptogenetica o idiopatica: malattia che non ha una causa organica visibile.
Epilessia rolandica: forma di epilessia infantile, che nel 95 per cento dei casi guarisce spontaneamente prima dell'età adulta.
Crisi tonico-cloniche "grande male": sono crisi generalizzate che iniziano con perdita della coscienza, deviazione degli occhi in alto per poi continuare con contrazioni muscolari generalizzate e simmetriche (fase tonica), che in seguito sono interrotte da brevi rilassamenti della muscolatura (fase clonica).
Convulsioni: alternanza tra contrazione e rilassamento che determina il tipico aspetto di scosse muscolari ritmiche.
Crisi di assenza "piccolo male": sono crisi generalizzate e brevi caratterizzate da un improvviso arresto motorio con uno stato di coscienza apparentemente conservato.
Mioclonia: breve e involontaria contrazione di un muscolo o di un gruppo di muscoli.
Stato di Male Epilettico: situazione in cui l'individuo è in preda a una crisi epilettica che non si risolve in pochi minuti ed è quindi da considerarsi una vera e propria emergenza medica.
EEG- Elettroencefalogramma: tecnica diagnostica tramite la quale si effettua la registrazione dell'attività elettrica del cervello.
RMN (NMR in inglese) - Risonanza Magnetica Nucleare: tecnica diagnostica per immagini, non invasiva e indolore, tramite la quale vengono generate immagini derivanti dalla reazione del corpo al campo magnetico al quale viene sottoposto.
TAC - Tomografia Assiale Computerizzata: tecnica diagnostica per immagini, non invasiva e indolore, che sfrutta però radiazioni ionizzanti (raggi X) e consente di riprodurre sezioni o strati del corpo ed elaborazioni tridimensionali.

EPILESSIA E SCUOLA
Per dissipare l'ignoranza intorno alla malattia e migliorare la qualità di vita delle persone epilettiche, bisogna partire dall’ambito scolastico.
La scuola ha un ruolo determinante nella formazione non solo del bambino e ragazzo di oggi, ma soprattutto dell’uomo di domani. Di conseguenza è necessario che gli insegnanti siano preparati, al fine di consentire un corretto inserimento degli alunni affetti da tale malattia, evitando loro ansia, malcontento e, soprattutto, emarginazione.
Ancora oggi l'epilessia viene erroneamente considerata una malattia mentale e spesso gli insegnanti di un bambino con epilessia si chiedono se ci sono diversità fra questo bambino e gli altri alunni. In alcuni ambienti scolastici permane il pregiudizio che le crisi epilettiche siano causa di una riduzione delle capacità mentali, o almeno che gli alunni affetti da tale malattia abbiano disturbi del comportamento.
Anche se è vero che i farmaci antiepilettici possono di per sé indurre effetti collaterali sul versante neuropsicologico (da disturbi di attenzione e concentrazione, a deficit più specifici ad es. della memoria o della denominazione), solo una piccola parte di alunni con epilessia presenta effettivamente dei ritardi nello sviluppo e nell’ apprendimento.
Molto spesso gli alunni con epilessia si trovano a dover affrontare situazioni di svantaggio legate alla scarsa conoscenza della malattia ed al pregiudizio. Tutto ciò, oltre ad alterare il senso di sé ed una buona autostima, può influire negativamente sull'andamento scolastico.

Informare gli insegnanti

Quando il bambino con epilessia fa il suo ingresso a scuola i genitori devono informare il Dirigente della malattia di cui soffre il figlio; il Dirigente, a sua volta deve individuare la miglior strategia per informare, insieme ai genitori, gli insegnanti della classe del bambino, non trascurando però di assicurarsi che le norme di comportamento, in caso di crisi epilettica, siano note anche gli altri insegnanti e al personale scolastico.
E’ importante che l’informazione agli insegnanti della classe, da parte del Dirigente, sia fatta in collaborazione stretta con i genitori dell'alunno affetto da epilessia prima dell’inizio dell’anno scolastico. In tale occasione i genitori forniranno esatte indicazioni su come si manifestano le crisi e sui possibili problemi causati dalle crisi stesse. 
Infatti, se l’insegnante conosce le caratteristiche delle crisi potrà riconoscerle ed evitare, oltre a danni fisici dovuti alle manifestazioni delle crisi, di mal interpretare un comportamento "disattento" (es. : crisi di arresto motorio) come svogliatezza o punire il bambino ingiustamente per il suo comportamento durante la crisi (es. se fa scarabocchi, o non risponde alle domande, etc.).
Se l'epilessia è farmacoresistente o associata ad altri disturbi neurologici (ritardo mentale, problemi motori), viene approntato un piano educativo individuale. In questi casi, è prevista la collaborazione tra scuola e medico dell’AUSL (Unità Operativa di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza, pediatra di comunità) di zona, su richiesta della scuola. 
I medici dell’AUSL hanno competenza nel rispondere ai quesiti in merito anche agli aspetti più strettamente organizzativi: gestione delle attività durante le ore di educazione motoria, come sorvegliare a “distanza” durante gli intervalli, come gestire la presenza di un supplente non a conoscenza del caso, gite scolastiche, medicinali etc.
Nell’ambito di questo tipo di malattia, una della cose più difficili è proprio distinguere se un comportamento "disturbato" è la conseguenza diretta della malattia (una o più crisi possono "spegnere" la coscienza del bambino anche più volte al giorno con il risultato che lo stesso non riesce a seguire tutto quello che dice l'insegnante), oppure è causato da errori di educazione o da sfavorevoli condizioni ambientali, o ancora più banalmente dal normale comportamento di un bambino di quell’età.
Capire cosa guida le azioni di un bambino è di per sé difficile. Nel caso del bambino epilettico lo è ancor di più.
Da una parte la famiglia nella maggior parte dei casi, ma fortunatamente non sempre, tende ad assegnare alla malattia la responsabilità di tutti i comportamenti non “corretti” del figlio; dall’altra la scuola, anche in questo caso per fortuna non sempre, non conosce o tende a sottovalutare la responsabilità della patologia e dei farmaci nel comportamento dell’alunno. L’esperienza di sentirsi “diverso” dall’altro, in quanto mancante di una “salute normale”, è un elemento che può mettere il bambino, l’adolescente e in seguito l’adulto, in una posizione di insuccesso, con atteggiamenti passivi e sottomessi nell’adattarsi alle richieste dell’ambiente, provando spesso senso di inferiorità, timidezza, mancanza di autostima. La scuola ha il dovere e la necessità di investire sulle componenti emozionali affinché il percorso formativo che offre, sia in armonia con lo sviluppo evolutivo di ogni bambino che frequenta la scuola.
Inoltre la scuola, che è il primo e vero luogo di confronto di ogni soggetto in età evolutiva, è chiamata ad assumere responsabilmente il suo ruolo di istituzione forte che può influenzare il mondo del sociale, offrendo dei modelli relazionali, di accettazione e condivisione, più ampi di quelli finora sperimentati.
Esistono dunque due ambiti di gestione del’epilessia in ambito scolastico: la gestione “pratica” dell’emergenza in caso di crisi epilettiche e quella psicopedagogica della persona.
Al contrario di quello che si può pensare, la prima, se pur emozionalmente molto coinvolgente, è la più semplice e può avvalersi di alcune regole base di comportamento; la seconda è molto più difficile e necessità di un impegno molto più oneroso da parte del corpo insegnante.

La gestione pratica delle crisi epilettiche

Una crisi tonico-clonica, definita genericamente “convulsioni”, in una persona epilettica non è un’emergenza medica. La crisi infatti, di regola, cesserà spontaneamente in 1-2 minuti lasciando una sensazione di stanchezza, stordimento, talora confusione mentale. E’ importante restare calmi perché, per quanto la crisi possa essere impressionante da vedere, nella maggior parte dei casi recede senza lasciare nessun esito e non rappresenta quasi mai un pericolo per la vita.
I rischi maggiori sono legati al trauma che il paziente può provocarsi cadendo a terra.
 

Di fronte a una crisi epilettica di questo tipo:
1.   Non spaventarsi!
2.   Se il bambino/ragazzo cade, tenerlo disteso su un fianco, NON bloccargli i movimenti, NON inserire alcunché in bocca, assicurarsi però che non vi siano ostacoli alla respirazione.
3.   Proteggere la testa con cuscini o qualcosa di morbido, per evitare che si ferisca, senza bloccarne i movimenti.
4.   Fare spazio e togliere dalle vicinanze gli oggetti taglienti o appuntiti.
5.   Evitare che i compagni gli si affollino intorno.
6.   Togliere eventuali occhiali, allentare vestiti stretti.
7.   Controllare la durata della crisi con un orologio e osservare bene cosa succede durante la crisi per poterla descrivere successivamente ai genitori o al medico
8.   Se entro 5 minuti la crisi non cessa spontaneamente, somministrare il farmaco apposito, secondo le indicazioni mediche.
9.   Se anche con la somministrazione del farmaco, o in assenza di esso, la crisi non si risolve, chiamare il 118.
10.               Al termine della crisi tranquillizzare il bambino/ragazzo e fornirgli l’assistenza necessaria.
11.               Riferire ai genitori, con il maggior numero di dettagli possibili (tempistica e manifestazioni), la crisi e la sua evoluzione



Oltre a quando già detto al p.9, una crisi epilettica deve essere considerata un’emergenza e bisogna quindi chiamare subito il 118 quando:
·        la crisi avviene in acqua, nel caso di attività sportiva in piscina;
·        il bambino/ragazzo si è ferito o è diabetico;
·        una seconda crisi insorge subito dopo che è appena cessata la prima;
·        il bambino/ragazzo non riprende conoscenza subito dopo le convulsioni.
Certamente, ed è del tutto comprensibile, la regola n.1 è la più difficile da seguire, sia per l’adulto (insegnante od operatore scolastico) che assiste alla crisi, sia per i compagni di classe.
La sensazione di panico che assale chiunque assista ad una crisi epilettica, non deve provocare vergogna, è del tutto naturale ed anche i genitori stessi del bambino epilettico, malgrado abbiano assistito a tante crisi, non ne sono immuni.
 
E’ importante però non farsi sovrastare da questa sensazione e, se un insegnante si rende conto di essere inadeguato, deve immediatamente chiamare un collega in aiuto, mandando un alunno ad avvisare in una classe vicina, senza comunque mai abbandonare il ragazzo sotto crisi.
Come è intuibile, il comportamento dell’insegnante ha una notevole ricaduta sui compagni che assistono, soprattutto nel caso di un primo episodio. In un paragrafo successivo verranno forniti alcuni suggerimenti utili a supportare l’insegnante nelle spiegazioni che è opportuno dare ai compagni di classe.
 

Le regole sopra indicate sono generali e si applicano in qualsiasi situazione di crisi tonico-clonica, e non solo in ambito scolastico.
 
Ci sono però altre evenienze delle quali è opportuno tener conto. Ad esempio in alcune crisi epilettiche di questo genere, la manifestazione tonico-clonica può essere accompagnata dall’emissione di suoni, di saliva o vomito. Può inoltre accadere che ci sia perdita di controllo della vescica e dell’intestino.
Quando si è già a conoscenza di queste evenienze è opportuno tenere in classe un lenzuolo/coperta con cui coprire il corpo del bambino, per evitargli imbarazzo di fronte ai compagni.
 
Quando la crisi è terminata e il bambino è in grado di alzarsi e camminare, verrà accompagnato a cambiare gli abiti. In questi casi la famiglia avrà provveduto a lasciare il cambio opportuno che verrà conservato nell’ufficio del Preside o in apposito locale, ma mai nella classe, sotto gli occhi dei compagni. E’ certamente intuitivo, ma val comunque la pena ripeterlo, che sarà cura dell’insegnante scegliere, per il bambino/ragazzo, un banco il più possibile lontano da oggetti pericolosi (caloriferi, armadi, magari a vetro etc.) contro i quali, in caso di crisi, il bambino potrebbe provocarsi lesioni.
Parimenti, soprattutto all’entrata in scuola al mattino, al termine delle lezioni e durante eventuali cambi di aula durante il giorno, se il bambino deve fare delle scale, è indispensabile che a fianco abbia qualcuno che possa proteggerlo in caso di eventuale crisi. Anche se è presente un ascensore, il ragazzo non deve mai essere lasciato solo.
 
Alcuni casi di epilessia richiedono l’utilizzo di un farmaco idoneo a bloccare la crisi in tempi rapidi. Si tratta di un ansiolitico che contiene una benzodiazepina, come principio attivo. Il nome commerciale più diffuso è MicroNoan ®. E’ venduto sotto forma di microclisteri poiché la somministrazione per via rettale consente un rapido assorbimento ed è effettuabile anche da personale non specializzato.
La scuola, come indicato dalle Linee guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico (Ministeri Istruzione e Salute 25/11/05) e dal successivo protocollo d’intesa firmato nelle diverse regioni è tenuta a somministrare questo farmaco. Deve essere effettuata una formale richiesta dei genitori, comprensiva di una certificazione medica attestante lo stato di malattia dell’alunno con la prescrizione specifica dei farmaci da assumere (conservazione, modalità e tempi di somministrazione, posologia).
 
Nel caso di somministrazione di questo farmaco, l’insegnante o la persona designata in ambito scolastico, deve aver cura, se possibile, di allontanare i compagni di classe, per evitare problemi di imbarazzo al bambino/ragazzo che, se pur non cosciente al momento, potrebbe essere oggetto di commenti, battute e scherzi da parte dei compagni, in momenti successivi. Per tutte le indicazioni specifiche relative alle modalità di conservazione e somministrazione, il Dirigente scolastico e gli insegnanti devono attenersi a quanto indicato dal certificato medico che accompagna la richiesta. E’ molto probabile che in caso di somministrazione di Micropam, ma molto spesso anche senza farmaco, come unica conseguenza della crisi stessa, il bambino/ragazzo si addormenti e debba riposare per un certo periodo di tempo. In questo caso la scuola dovrà avere a disposizione un locale tranquillo (infermeria od altro), nel quale però il bambino non dovrà mai essere lasciato solo. Oltre ai farmaci da somministrare in caso di crisi, ci sono situazioni terapeutiche in cui al bambino/ragazzo deve essere somministrato durante le ore scolastiche, di solito al momento del pranzo, il normale farmaco antiepilettico che già assume mattina e sera. Anche in questo caso è necessaria un’idonea certificazione dello specialista di riferimento, il quale indicherà il tipo di farmaco, la dose e l’orario di assunzione. Sarà poi l’amministrazione scolastica che autorizzerà gli insegnanti alla somministrazione del farmaco.

Le crisi senza totale perdita di coscienza

Come già indicato in precedenza, esistono diversi tipi di epilessia e le crisi hanno manifestazioni differenti da soggetto a soggetto, soprattutto nel caso di crisi parziali/focali. In questi casi, è la famiglia stessa che, nel caso non si tratti del primo episodio, è in grado di mettere al corrente la scuola delle diverse manifestazioni. Parimenti è essenziale che la scuola informi la famiglia, nel caso osservi comportamenti che, magari fino a quel momento, si erano verificati solo a scuola e ai quali la famiglia non aveva mai assistito.

Non è possibile fare un’esaustiva descrizione delle possibili manifestazioni di queste crisi, ma verranno portati alcuni esempi.
Le
 mioclonie possono portare a movimenti incontrollati e ripetuti del capo, dei muscoli facciali o degli arti, il più delle volte senza perdita di coscienza, ma con l’impossibilità di fermare questi movimenti. Se è vero che il bambino/ragazzo appare sveglio è altresì vero che molto spesso il suo livello di coscienza in quei momenti è limitato se non assente.
E’ quindi del tutto inutile cercare di alzare il suo livello di attenzione con sollecitazioni vocali chiamandolo ripetutamente per nome o facendogli esortazioni a smettere o chiedendogli che cosa gli sta succedendo. E’ opportuno invece verificare, per prima cosa, che i movimenti involontari non gli arrechino alcun danno fisico e poi attendere che la crisi abbia termine. Questo comportamento vigile, ma teso a non sottolineare ciò che sta avvenendo, aiuta i compagni ad accettare il compagno anche con le sue “stranezze”. Le crisi possono avere anche
 manifestazioni di tipo vocale. Improvvisamente il bambino/ragazzo dice cose senza senso o urla. Allo steso modo posso evidenziarsi anche crisi di tipo motorio. Improvvisamente il bambino/ragazzo si alza dal banco, e si accinge a compiere azioni che sono avulse dal contesto di quel momento, senza dare una spiegazione logica. Non v’è dubbio che, nel normale svolgimento delle ore di lezione, questi eventi possano essere di notevole disturbo, ma in questi casi la pazienza è d’obbligo, perché non bisogna mai dimenticare la completa involontarietà della manifestazione. Ancor più è d’obbligo segnalare alla famiglia il numero e l’intensità delle crisi perché, opportunamente riferite queste informazioni al medico curante, vengano prese le opportune misure (modifica delle dosi, sostituzione o aggiunta di nuovi farmaci) che consentiranno una vita, anche scolastica, più serena.
Di più difficile riconoscimento sono le crisi definite come assente e sembra perso fra i suoi pensieri e non attento lezioni. A volte queste manifestazioni non vengono riconosciute come crisi epilettiche, ma semplicemente come normali comportamenti dovuti al particolare“
assenze” soprattutto se hanno una durata di pochi secondi. Il bambino/ragazzo ha lo sguardo tipo di carattere. Anche qui la scuola può e deve avere un duplice ruolo. Da una parte, se la famiglia è a conoscenza del problema e ha avvisato la scuola, deve tenere conto che la conseguente minore resa scolastica ha un’origine patologica, dall’altra, se la famiglia ne è all’oscuro, deve informarla e sollecitarla a sottoporre il bambino/ ragazzo a controlli medici. 

Il rendimento scolastico

Quanto sino ad ora detto sulle manifestazioni delle diverse forme epilettiche e sull’effetto dei farmaci, rende facilmente intuibile che questa patologia può avere effetti anche sul rendimento scolastico.
L’uso del “può” è d’obbligo perché non tutti gli alunni che soffrono di questa patologia, fortunatamente, presentano problemi.
 
Un’indagine recentemente promossa dalla Lega italiana contro l’epilessia (Lice) e condotta dalla Doxa su 600 insegnanti di scuole primarie e secondarie inferiori, ha messo in luce come gli insegnanti abbiano una visione sbagliata di quanto questa patologia incida sul rendimento del bambino fra i banchi: più del 40% ritiene che un bambino con epilessia abbia la necessità di un sostegno scolastico, mentre un insegnante su quattro ritiene che l’epilessia possa causare disturbi mentali e/o del comportamento.
Tuttavia, se è vero che talvolta l’epilessia si manifesta nel bambino in forme gravi, per fortuna rare, che comportano rilevanti deficit intellettivi e disturbi comportamentali, è altrettanto vero che il bambino può essere affetto da forme di epilessia assolutamente benigne, compatibili con un rendimento scolastico del tutto adeguato.
 

Uno tra gli aspetti più critici, relativi al rendimento scolastico di un alunno epilettico è la “variazione” correlata alle alterazioni derivanti dalle crisi, per cui spesso questi bambini hanno “inspiegabili” cadute di rendimento, alternano cioè giornate in cui sono del tutto collaborativi e ricettivi, a giornate in cui sono svogliati e assenti a volte. Questi comportamenti incostanti sono difficilmente rilevabili nel periodo della scuola materna, mentre possono essere notati più facilmente sui banchi di scuola.
L’insegnante di sostegno anche per poche ore alla settimana, escludendo i casi più gravi dove è necessaria una presenza continuativa, può essere utile per consolidare concetti primari o per recuperare i “vuoti” dovuti alle crisi o ad assenze per accertamenti o esami. La presenza dell’insegnante di so-stegno o di un educatore diventa ancora più importante quando il bambino ha numerose crisi e perde il contatto con la realtà per tempi più lunghi. A maggior ragione nel contesto attuale dove, complice anche la crisi finanziaria, la scuola non riesce a garantire la pronta sostituzione di una insegnante assente con un supplente. In tal caso infatti non è raro che gli alunni della classe scoperta vengono smistati in altre, in cui gli insegnanti non sono necessariamente al corrente di tutte le informazioni necessarie con conseguente ridotta garanzia della tutela alla salute dell’alunno.

Il problema più difficile da risolvere, e quindi quello per il quale l’intervento degli insegnanti è il più oneroso, è quello relativo alle situazioni che non possono essere considerate gravi e alle quali quindi non viene assegnata invalidità e sostegno scolastico, ma non sono in realtà così lievi da non presentare alcun problema. Purtroppo queste situazioni sono molto diffuse e determinano il maggior disagio agli insegnanti, ma soprattutto agli alunni e genitori. Il rendimento scolastico di questi bambini/ ragazzi è spesso non adeguato, ricevono voti insufficienti, e questo determina un progressivo calo della loro autostima.
La persistenza di un insuccesso scolastico porta, in genere, ad una serie di processi mentali che fanno sì che il bambino/ragazzo si aspetti di non riuscire e adotti un comportamento posto a confermare questa sua previsione. Detto in termini banali il pensiero del bambino/ragazzo è: ”Non ci provo neppure, perché tanto non ci riesco” ed anche “Non studio, perché così se prendo un brutto voto, la colpa sarà dovuta ad una causa “normale, comune ai miei compagni e non alla malattia, che è solo mia”.
Non è facile dare linee guida agli insegnanti per evitare che si sviluppino questi comportamenti, soprattutto non esistono suggerimenti univoci, applicabili a tutti i casi. E’ necessario valutare il problema per ogni singolo individuo, in stretto accordo con la famiglia. Ricordiamo, come osservato in precedenza, che per questi alunni non esistono certificazioni neuropsichiatriche che attestino la necessità del sostegno.
Purtroppo, in molti casi, gli insegnanti si trincerano dietro questa mancanza e, nei colloqui coi genitori dichiarano che non possono, in assenza appunto di certificazioni, applicare alcuno specifico comportamento nei riguardi del bambino/ragazzo, tipo Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.). Non v’è dubbio che questo corrisponde a verità, ma, nei casi di cui stiamo parlando, molto probabilmente non è necessario né un sostegno, né un P.E.I., ma un po’ di sano buonsenso può certamente essere applicato e dare un aiuto.
Ad esempio uno dei problemi che maggiormente affliggono gli alunni che soffrono di epilessia e sono in terapia farmacologica, è la difficoltà di mantenere la concentrazione per tutto il tempo necessario allo svolgimento di un’intera verifica.
Allo stesso tempo sono facilmente presi dal panico quando si trovano davanti il foglio con tante domande.
 
L’insegnante potrebbe in questo caso indicare al ragazzo quali tra gli esercizi richiesti sono quelli strettamente necessari per ottenere una votazione sufficiente. Questo consente al ragazzo di utilizzare tutto il tempo a sua disposizione per concentrarsi su un numero minore di argomenti. Questa informazione può essere data a tutta la classe, e non solo al soggetto interessato, evitando così un ulteriore problema di discriminazione.
 
Relativamente alle prove orali, spesso l’alunno dà l’impressione di aver studiato in maniera approssimativa; magari inizia a rispondere alla domanda posta, ma non riesce ad essere completo ed esaustivo e spesso si blocca durante il discorso. In questo caso, e l’insegnante può verificare facilmente se la strategia proposta è efficace, è sufficiente che l’insegnante, quando nota pause e tentennamenti, dia un piccolo aiuto (spesso basta aggiungere una parola) perché il bambino/ragazzo ritrovi il filo del discorso e possa quindi dimostrare il suo reale impegno nello studio.
Tante sono le strategie che un insegnate sensibile e attento, può applicare senza dover modificare i criteri di valutazione e soprattutto senza operare evidenti discriminazioni rispetto ai compagni.
Non bisogna infatti dimenticare che, nella maggior parte dei casi, i ragazzi affetti da epilessia non grave, devono dedicare allo studio a casa un tempo decisamente superiore ai loro coetanei sani. Dati i citati problemi di concentrazione, le lezioni vengono lette e ripetute più volte, e non è raro dover alternare periodi di pausa a periodi di studio. Il risultato è che, al contrario del coetaneo che, finiti i compiti può liberare la mente e dedicare il rimanente tempo ad un giusto svago, nel caso dei bambini con problemi di epilessia il tempo da dedicare allo svago con la consapevolezza di aver terminato tutti i compiti scolastici è inferiore o, a volte, inesistente. Anche questo è un fattore che influisce negativamente sugli aspetti psicologici.
 

Come comportarsi coi compagni

E’ constatato che per un bambino con epilessia, la scuola è uno dei pochi momenti di confronto con gli altri. Proprio l’epilessia però, con le sue manifestazioni, espone a reazioni di rifiuto da parte dei compagni di classe. Il comportamento dell’insegnante è del tutto determinante nel risolvere o almeno attenuare questo atteggiamento di rifiuto. Sono già state fornite indicazioni inerenti il comportamento che deve tenere l’insegnante in caso di insorgenza in classe di crisi epilettica. E’ opportuno però fornire alcuni suggerimenti relativi a come gestire questa problematica con i compagni di classe.
La maggior parte di loro, come è intuibile, si sentirà molto spaventata, non rendendosi conto di quello che sta succedendo. Il loro compagno/a che fino ad un attimo prima era lì a parlare, ascoltare, insieme a loro, improvvisamente è a terra, si dibatte, magari emet te strani suoni e così via. La crisi può anche far ridere, e i bambini nella loro innocenza sanno essere anche crudeli.
Bisogna dar loro delle spiegazioni che si avvicinino il più possibile alla realtà, tenendo conto della loro età, ma che instillino nella loro mente il concetto che il loro compagno/compagna NON è “diverso”, “pazzo”, “violento” e neppure un “buffone”. Ma quando e come dare queste informazioni?
Alla prima domanda (quando) la risposta è semplice: il prima possibile. Ciò significa che se la crisi epilettica avviene per la prima volta, all’insaputa quindi dell’esistenza del problema anche da parte della famiglia, sarà opportuno, il giorno stesso o il giorno successivo, trovare il momento giusto per dare le informazioni necessarie. Se invece la scuola è già al corrente del possibile verificarsi della crisi, le informazioni dovranno essere date uno dei primi giorni dell’anno scolastico. E’ indispensabile che le medesime informazioni siano fornite anche ai genitori dei compagni, perché possano essere preparati nel caso il loro figlio a casa faccia poi domande. La prima riunione di classe è un’ottima occasione a patto che si svolga effettivamente nelle prime 2/3 settimane dall’inizio dell’anno scolastico.

Alla seconda domanda, cioè “come” dare queste informazioni, la risposta è tutt’altro che semplice e non esistono regole, in quanto le modalità vanno scelte sulla base del contesto nel quale ci si trova (età, livello culturale etc.). Il primo problema da affrontare è: a queste spiegazioni deve o non deve assistere anche il bambino/ragazzo affetto da epilessia. E’nostra opinione che questa scelta vada fatta di concerto con la famiglia, se si tratta di un bambino, o con il ragazzo stesso, in caso di adolescenti. Parimenti la famiglia, se lo desidera, può partecipare e contribuire ad informare i compagni del figlio/a, nonché ovviamente i genitori dei compagni. Indipendentemente dalle parole usate per spiegare ai compagni cosa è successo al loro amico/a è importante che a loro arrivi un messaggio molto chiaro: la crisi, la malattia, non modificano in alcun modo il loro amico, così come lo vedono quando sta bene; quando la crisi è terminata il loro amico torna esattamente quello di prima; questa malattia non è contagiosa; i gesti, i movimenti, i suoni e tutte le manifestazioni della crisi sono del tutto involontarie; il loro compagno si sta curando e guarirà.

Nel caso si debbano dare spiegazioni a bambini del primo ciclo scolastico, soprattutto delle prime classi, sarà opportuno utilizzare esempi di vita e oggetti comuni o fiabe, piuttosto che spiegazioni mediche, stimolandoli anche a fare domande. Utili esempi sono riportati nei siti WEB sotto indicati. Per esempio, i
l libro 'Sara e le sbiruline di Emily', è visionabile cliccando sul link:
http://www.fondazionelice.it/Sara_e_le_sbiruline_di_Emily/index.html ; inoltre, cliccando sul link www.biancosulnero.blogspot.com/2010/08/una-favola-che-educa-i-bambini-in-caso.html  si può ascoltare una fiaba che spiega l’epilessia ai bambini.  
Quando si tratta di bambini di 8-11 anni o ragazzi già alle scuole medie, si può approcciare il problema certamente in maniera più scientifica. Semplici spiegazioni delle modalità di funzionamento del cervello e della tra-smissione elettrica degli stimoli nervosi, possono consentire di introdurre il concetto di corto circuito, di scarica elettrica anomala e così via. 

Certificazione d’Invalidità civile.

L'invalidità è la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa di una menomazione o di un deficit fisico, psichico o intellettivo, della vista o dell'udito. La definizione e’ contenuta nella legge n. 118 del 30/3/1971.
 "si considerano mutilati e invalidi civili i cittadini affetti da minorazione congenita e/o acquisita (comprendenti) gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente, anche a carattere pro-gressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo, o se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell'età."
L'invalidità è "civile" quando non deriva da cause di servizio, di guerra, di lavoro. In linea generale l'invalidità civile viene definita in percentuale nel caso in cui l'interessato sia maggiorenne. Viene inoltre indicata la percentuale di invalidità per i maggiori di quindici anni ai fini dell'iscrizione alle liste speciali di collocamento ai sensi della Legge 68/1999.
Il Decreto del Ministero della Sanità del 5 febbraio 1992 definisce le modalità per la valutazione dell'invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo, e indica le relative percentuali di riferimento. L'accertamento delle minorazioni civili è effettuato dalle specifiche Commissioni operanti presso ogni ASL.
La richiesta d’invalidita’deve essere presentata in via telematica all’INPS, dopo che il proprio medico di base ha rilasciato la documentazione medica relativa alla patologia.
Ci si può avvalere per l’aiuto nella compilazione di un patronato.
Il riconoscimento dell’invalidità civile può determinare per i casi più gravi l’accesso ad una serie di benefici economico-assistenziali.

Certificazione di handicap.

Distinto e diverso dal giudizio di invalidità civile e’ il giudizio relativo al grado di handicap, inteso come svantaggio nell’inserimento sociale incontrato dalla persona affetta da una minorazione, disciplinato dalla Legge n. 104/1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione e i diritti delle persone handicappate).
La certificazione viene emessa a seguito della presentazione all’INPS della domanda di accertamento dello stato dell’invalidità civile. L’attestazione di handicap prevede due livelli:
1.   il riconoscimento come PERSONA CON HANDICAP (art. 3 comma I)
2.   il riconoscimento come PERSONA CON HANDICAP GRAVE (art. 3 comma III)

Elementi di tutela antidiscriminatoria in caso di disabilità dovuta ad epilessia.

I genitori di bambini e di ragazzi con disabilità dovuta ad epilessia possono trovarsi ad affrontare in ambito scolastico vari problemi di carattere discriminatorio dovuti alla malattia. La scuola stessa spesso si trova in difficoltà nella gestione di queste situazioni. Per questo motivo vengono di seguito forniti i riferimenti alle normative per affrontare le più comuni problematiche in ambito scolastico : 
  -    scelta della scuola
-       numero di ore assegnate all’insegnante di sostegno
  -    somministrazione di farmaci da parte del personale scolastico
Scelta della scuola
Nell’ordinamento italiano il diritto alla frequenza della scuola dei bambini e ragazzi disabili è garantito oltre che dalla Costituzione (art. 38 III comma) anche dalla Legge 104/92, art.12 , comma 2 .
Le scuole private, paritarie o parificate, ai sensi della Legge n. 62/2000, sono obbligate a realizzare l'integrazione scolastica, come espressamente previsto nell'art.1, comma 3, comma 4 lettera 'e' e comma 14.
Il D.lgs. n. 76 del 2005 all’art. 1 comma 3 recita: “La Repubblica assicura a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età”.
Relativamente alle persone con handicap (L.104/92), l’art. 12, comma 1 recita: “Al bambino da 0 a 3 anni handicappato è garantito l’inserimento negli asili nido” e il comma 2: “È garantito il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni della scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie”. L’iscrizione alla scuola pubblica, paritaria o parificata, è dunque un diritto esigibile
In caso di rifiuto o problemi relativi all’iscrizione, i genitori possono fare ricorso al TAR o al Tribunale per un intervento d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 del Codice di Procedura Civile.

Assegnazione delle ore di sostegno
L'insegnante di sostegno è un docente in possesso di idonea specializzazione che viene assegnato alla classe in cui è iscritto uno studente disabile. Le ore di sostegno vengono determinate sulla base dei Piani Educativi Individualizzati (PEI). 
Questo e’ uno strumento che evidenzia le necessità d’integrazione del disabile. Se non vengono assegnate le ore di sostegno necessarie per vincoli di bilancio o altri vincoli normativi, decade il principio del diritto allo studio garantito dalla Costituzione, dalla normativa speciale (Legge n. 104/1992) e dalla convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilita’, ratificata dall’Italia nel 2009.

In caso di assegnazione di un numero di ore di sostegno inferiori a quelle stabilite dal PEI, i genitori degli alunni interessati possono rivolgersi o al TAR, oppure fare ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 67 del 2006 “ Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”. 

Somministrazione farmaci
La somministrazione di farmaci durante l’orario scolastico, al di fuori delle situazioni di emergenza, e’ disciplinata dalle raccomandazioni del 2005 del Ministero della salute e dal MIUR e dai protocolli d’intesa che vengono stipulati tra ASL e Uffici Scolatici Regionali (USR). La somministrazione deve avvenire in base ad autorizzazioni specifiche rilasciate dalle ASL e non deve richiedere il possesso di cognizioni specialistiche di tipo sanitario, né l’esercizio di discrezionalità tecnica. Essa coinvolge, nelle rispettive responsabilità e competenze, le famiglie degli alunni e/o gli esercenti la potestà genitoriale, la scuola, dal dirigente scolastico al personale docente ed ATA, i servizi sanitari, dai medici di base alle ASL di competenza e gli enti locali, negli operatori assegnati. I genitori devono inoltrare richiesta formale, previa certificazione medica attestante lo stato di malattia dell’alunno, che indichi la prescrizione dei farmaci da assumere, la loro modalità di conservazione, i tempi di somministrazione e la posologia. I dirigenti scolastici, a seguito della richiesta, individuano il luogo fisico idoneo per la conservazione e la somministrazione dei farmaci; autorizzano eventualmente i genitori o i loro delegati ad accedere a scuola durante l’orario scolastico per la somministrazione dei farmaci; verificano la disponibilità degli operatori scolastici in servizio a garantire la continuità della somministrazione. Questi ultimi possono essere individuati tra il personale docente ed ATA che abbia seguito i corsi di pronto soccorso. 
Qualora nell’edificio non siano presenti locali idonei, non vi sia disponibilità alla somministrazione o non sussistano i requisiti professionali necessari, i dirigenti scolastici, in virtù dell’autonomia scolastica, possono individuare altri soggetti istituzionali del territorio con i quali stipulare accordi e convenzioni. Nel caso in cui anche tale soluzione non sia attuabile, possono attivare collaborazioni con gli Assessorati per la Salute e per i Servizi sociali e, qualora non si dia anche tale condizione, devono darne comunicazione formale ai genitori o agli esercitanti la potestà genitoriale e al Sindaco del Comune di residenza dell’alunno. Occorrerà in tali casi trovare soluzioni specifiche. 

In caso si verifichi una situazione d’emergenza non risolvibile con gli interventi programmati si fa ricorso al Servizio Sanitario Nazionale di Pronto Soccorso.

EPILESSIA E LAVORO
In campo sociale la discriminazione maggiore avviene proprio nel mondo lavorativo, soprattutto per la scarsa attuazione delle norme contenute nella legge vigente riguardo all’inserimento occupazionale dei disabili (Legge n. 68 del 13/3/1999), che è in realtà una legge fortemente innovativa.
Allo stato attuale il tasso di disoccupazione è più alto nei soggetti con epilessia rispetto alla popolazione generale.
La maggior parte dei soggetti affetti da epilessia (65-70%) può svolgere attività lavorative normali.
Parlando in termini generali, l’epilessia di per sé non impedisce lo svolgimento di un normale lavoro, eccetto i casi in cui le crisi epilettiche siano uno dei sintomi di una malattia neurologica più complessa, che comporta limitazioni nello svolgimento attività lavorative.
È ovvio però che alcuni lavori pericolosi possano essere controindicati alle persone con epilessia, soprattutto quando le crisi siano abbastanza frequenti e non controllate dai farmaci. 
È pur vero che in alcuni soggetti l’allerta necessaria per lo svolgimento di un’attività spesso inibisce le crisi, che compaiono invece di preferenza in situazioni di rilassamento mentale e fisico.
Il datore di lavoro, soprattutto se privato, è comunemente molto spaventato dalla semplice parola “epilessia” e ciò rende obiettivamente difficile l’inserimento occupazionale. Questo atteggiamento dei datori di lavoro può spingere il richiedente a nascondere la propria malattia, esponendosi, in caso di crisi, al licenziamento (soprattutto per chi lavora in aziende con pochi dipendenti) o alla non-copertura assicurativa in caso di incidente. La sensibilità dei datori di lavoro riguardo al problema-epilessia è scarsa tanto che sovente i pazienti hanno addirittura difficoltà a ottenere il permesso per effettuare i controlli medici di routine.

ESENZIONE TICKET
Secondo le norme emanate dal Ministero della Salute nel 2000 la certificazione della diagnosi di epilessia da parte di una Struttura Pubblica o Privata Convenzionata con il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) permette di ottenere dalle ASL l’esenzione ticket per quanto riguarda le visite e tutti quegli esami da eseguire nell’ambito della malattia specifica (esami del sangue e dosaggi, EEG, TAC, RM). L’esenzione dura due anni ed è rinnovabile (alcune ASL certificano un’esenzione anche per periodi più lunghi).. Nel tesserino di esenzione, per la tutela della privacy, non è indicata la malattia ma un codice (per l’epilessia cod.. 017). I farmaci antiepilettici (sia i tradizionali che quelli di nuova generazione) sono a totale carico del SSN in quanto considerati farmaci “salvavita". La LICE società scientifica raccomanda di non passare dal farmaco “di marca” al generico senza l’autorizzazione del neurologo curante, perché non sempre viene assicurata la bioequivalenza tra i farmaci e soprattutto occorre evitare di passare da un generico prodotto da una Casa a un altro.

Invalidità Civile
Certificazione d’Invalidità civile.

L'invalidità è la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa di una menomazione o di un deficit fisico, psichico o intellettivo, della vista o dell'udito. La definizione e’ contenuta nella legge n. 118 del 30/3/1971. "si considerano mutilati e invalidi civili i cittadini affetti da minorazione congenita e/o acquisita (comprendenti) gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo, o se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell'età."
L'invalidità è "civile" quando non deriva da cause di servizio, di guerra, di lavoro.
In linea generale l'invalidità civile viene definita in percentuale nel caso in cui l'interessato sia maggiorenne. Viene inoltre indicata la percentuale di invalidità per i maggiori di quindici anni ai fini dell'i-scrizione alle liste speciali di collocamento ai sensi della Legge 68/1999. Il Decreto del Ministero della Sanità del 5 febbraio 1992 definisce le modalità per la valutazione dell'invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo, e indica le relative percentuali di riferimento. L'accertamento delle minorazioni civili è effettuato dalle specifiche Commissioni operanti presso ogni ASL.

La richiesta d’invalidità deve essere presentata in via telematica all’INPS, dopo che il proprio medico di base ha rilasciato la documentazione medica relativa alla patologia.
Ci si può avvalere per l’aiuto nella compilazione di un patronato.
Il riconoscimento dell’invalidità civile può determinare per i casi più gravi l’accesso ad una serie di benefici economico-assistenziali.

L’invalidità provocata dalle varie forme di epilessia e dalle relative manifestazioni di crisi può essere in alcuni casi estremamente severa e interferire con la vita quotidiana del paziente, della sua famiglia e della comunità.
Le valutazioni medico - legali dell’invalidità sono oggi poste in relazione ad uno specifico quadro di riferimento in cui le variabili di valutazione sono:
      • essere in trattamento terapeutico;
      • il numero di crisi;
      • il tipo di crisi ( localizzate o generalizzate) Tale quadro trova la sua espressione nella sua tabella contenuta nel D.M.  5/2/92 n. 43 del Ministero della Sanità
      • Epilessia generalizzata, con crisi annuali in trattamento 20%
      • Epilessia generalizzata, con crisi annuali in trattamento 46%
      • Epilessia generalizzata, con crisi plurisettimanali/quotidiane in trattamento 100%
      • Epilessia localizzata, con crisi annuali in trattamento 10%
      • Epilessia localizzata, con crisi annuali in trattamento 41%
      • Epilessia localizzata, con crisi plurisettimanali/quotidiane in trattamento da 91% a 100%
La percentuale di invalidità civile corrisponde a diritti e benefici vari:

33% Dà diritto alla gratuità di protesi ed ausili. 

46% Diritto all’iscrizione alle liste del collocamento speciale previsto dalla legge n. 68/99. 

67% Diritto all’esenzione del ticket per tutte le patologie. Diritto all’abbonamento a tariffa agevolata TPER. 

74% Assegno mensile
L'assegno mensile spetta agli invalidi civili che presentino una sensibile riduzione della capacità lavorativa e che vertano in stato di bisogno economico e di mancato collocamento lavorativo. E' stata istituita dall'articolo 13 della Legge 30 marzo 1971, n. 118 e prevede dei limiti di reddito personale che non devono essere superati per ottenere tale pensione. I limiti vengono fissati annualmente.
Il pagamento della pensione viene effettuato dall'INPS in rate mensili
 

Le condizioni per ottenere questa pensione sono: 
Percentuale Invalidità Civile 74%
Età': compresa fra i 18 e i 65 anni
Cittadinanza italiana o UE residente in Italia. I cittadini extracomunitari hanno diritto alla pensione purché in possesso del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo.
Situazione lavorativa fornire annualmente all'INPS un'auto-dichiarazione in cui certifica di non svolgere alcuna attività lavorativa.
 

75% Contributi figurativi per il prepensionamento
La Legge
23 dicembre 2000, n. 388 (articolo 80, comma 3) consente ai lavoratori sordomuti e agli invalidi per qualsiasi causa (ai quali sia stata riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento o assimilabile) di richiedere, per ogni anno di lavoro effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di contribuzione figurativa. Il beneficio è riconosciuto fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa utile ai fini del diritto alla pensione e dell'anzianità contributiva. Pertanto, usufruendo di questa opportunità, il lavoratore invalido o sordomuto può raggiungere il diritto ad andare in pensione con cinque anni di anticipo. L'entrata in vigore di questa agevolazione è stata fissata al 1 gennaio 2002. È il caso di precisare che la disposizione non riguarda i lavoratori parenti di persone con handicap grave. L'INPS (n. 29 del 30 gennaio 2002) e l'INPDAP (n. 75 del 27 dicembre 2001) hanno diramato sull'argomento proprie circolari applicative. 

100% Pensione mensile di inabilità
La pensione mensile di inabilità spetta agli invalidi civili con una totale incapacità lavorativa e che vertano in stato di bisogno economico.
Età compresa fra i 18 e i 65 anni.
 

Indennità di accompagnamento
L’indennità di accompagnamento, o assegno di accompagnamento, è un sostegno economico pagato dall’ INPS, previsto dalla legge 11.2. 1980 n.8 per le persone dichiarate totalmente invalide.
Tale provvidenza ha la natura giuridica di contributo forfettario per il rimborso delle spese conseguenti all’oggettiva situazione di invalidità, non è assimilabile ad alcuna forma di reddito ed è esente da imposte. L’indennità di accompagnamento è a totale carico dello Stato ed è dovuta per il solo titolo della minorazione, indipendentemente dal reddito del beneficiario o del suo nucleo familiare. Viene erogato a tutti i cittadini italiani o UE residenti in Italia, ai cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo.
L’importo corrisposto viene annualmente aggiornato con apposito decreto del Ministero dell’ Interno. Il diritto corresponsione decorre dal primo giorno del mese successivo a quella in cui è stata presentata la domanda. Nel 2014 l’importo è di 504,07 euro per 12 mensilità.
 

La richiesta deve essere prestata all’Inps esclusivamente in via telematica, previo invio di un certificato medico che attesti, con dovizia di particolari, le condizioni di necessità sopra citate (persona impossibilitata a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, oppure, persona che necessita di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita). L’erogazione decorre dal primo giorno del mese successivo alla richiesta, o dall’accertamento della condizione di invalidità se collocato successivamente alla presentazione della domanda e nel corso dell’accertamento.

L’indennità è incumulabile con altre indennità simili, non è reversibile, ma è compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa se svolta autonomamente dall’invalido senza l’intervento dell’accompagnatore. Spetta anche in caso di ricovero, se a pagamento, in strutture ospedaliere o pseudo ospedaliere. Questa condizione deve essere dichiarata annualmente all’Inps entro il 31 marzo, dal beneficiario dell’indennità tramite il modello ICRIC. In caso di ricovero per periodi medio-lunghi, o brevi ma continuativi, presso strutture assistite dal Servizio Sanitario Nazionale, l’indennità viene sospesa (non revocata) a meno che il beneficiario non dimostri che l’assistenza fornita non è sufficiente a garantire i bisogni dello stesso (ma non un trattamento migliore rispetto allo standard). Non è considerato ricovero, con tutto ciò che ne consegue, il day hospital. L’indennità è mensile e non è frazionabile, per cui se il beneficiario viene dimesso per pochi giorni dall’ospedale nel quale è assistito dal SSN per poi rientravi, i giorni di permanenza fuori dalla struttura ospedaliera non verranno indennizzati.
 

L’indennità di accompagnamento spetta anche:
      • ai bambini minorenni, incapaci di camminare senza l’aiuto di una persona e bisognosi di assistenza continua ( sentenza di Corte di Cassazione numero 1377 del 2003);
      • alle persone affette di epilessia, sia coloro che subiscono crisi quotidiane sia settimanali;
      • a coloro che, pur capaci di compiere materialmente gli atti elementari della vita quotidiana ( mangiare, vestirsi, pulirsi), necessitano di un accompagnatore perché sono incapaci ( in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva e cognitiva, addebitabili a forma avanzata di stati patologici) di rendersi conto della portata dai singoli atti che vanno a compiere e dei modi e dei tempi in cui gli stessi devono essere compiuti ( sentenza n. 1268 del 2005 ).

Indennità di frequenza
L'indennità di frequenza, provvidenza a favore degli invalidi minorenni, è stata istituita dalla Legge 11 ottobre 1990, n. 289.
L'indennità di frequenza non viene erogata in Provincia Autonoma di Bolzano, dove è invece previsto, a favore dei minori invalidi parziali, la concessione di uno specifico assegno mensile
(Euro 430.84 mensili/13 mensilità).

Condizioni:
    • fino ai diciotto anni di età;
    • essere cittadino italiano o UE residente in Italia, o essere cittadino extracomunitario in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;
    • essere stati riconosciuti "minore con difficoltà persistenti a svolgere le funzioni proprie dell'età" (L. 289/90) o "minore con perdita uditiva superiore a 60 decibel nell'orecchio migliore";
    • frequenza ad un centro di riabilitazione, a centri di formazione professionale, a centri occupazionali o a scuole di ogni grado e ordine;
    • non disporre di un reddito annuo personale superiore a Euro 4.738,63;Importo 2013:Euro 275,87 mensili.
L'indennità di frequenza viene erogata per tutta la durata della frequenza ai corsi, alla scuola o a cicli riabilitativi. La Sentenza della Corte Costituzionale 20 - 22 novembre 2002, n. 467 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 comma 3 nella parte in cui non prevede che l'indennità mensile di frequenza sia concessa anche ai minori che frequentano l'asilo nido. L'indennità di frequenza è incompatibile con l'indennità di accompagnamento e con l'indennità di comunicazione concessa ai sordomuti. L'indennità mensile di frequenza è incompatibile con qualsiasi forma di ricovero.
Annualmente (31 marzo) va presentata la
dichiarazione di responsabilità circa l'assenza di ricovero.

Certificazione di handicap.

Distinto e diverso dal giudizio di invalidità civile e’ il giudizio relativo al grado di handicap, inteso come svantaggio nell’inserimento so-ciale incontrato dalla persona affetta da una minorazione, discipli-nato dalla Legge n. 104/1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione e i diritti delle persone handicappate).
La certificazione viene emessa a seguito della presentazione all’INPS della domanda di accertamento dello stato dell’invalidità civile. L’attestazione di handicap prevede due livelli:
1.   il riconoscimento come PERSONA CON HANDICAP (art. 3 comma I)
2.   il riconoscimento come PERSONA CON HANDICAP GRAVE (art. 3 comma III)

Il prepensionamento dei lavoratori disabili

La pensione anticipata di vecchiaia
Il Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (articolo 1, comma 8) prevede la possibilità per i lavoratori, iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, con invalidità non inferiore all’80%, di anticipare l’età pensionabile (pensione di vecchiaia) a 55 anni per le donne e a 60 per gli uomini.



Prepensionamento dei lavoratori genitori di persone disabili
Al momento attuale, nonostante le diverse proposte di modifica normativa, non esiste nessuna norma che preveda il prepensionamento dei lavoratori genitori di persone con handicap grave. L'unica forma di prolungata agevolazione lavorativa consiste ancora nei due anni di congedo retribuito previsti dal testo vigente della Legge 53/2000. La Legge 53/2000 è una norma che ha previsto nuove forme di flessibilità lavorativa, fra cui l'opportunità per il lavoratore di richiedere fino a due anni di congedo non retribuito per gravi motivi familiari.


Legge 104

I permessi lavorativi: la retribuibilità

I permessi lavorativi sono stati istituiti nel 1992 dalla Legge 104. Il primo problema interpretativo in ordine di tempo è stato proprio quello della retribuibilità di tali benefici lavorativi. La prima precisazione, ovvia ma al tempo stesso strettamente necessaria, è avvenuta infatti un anno e mezzo dopo l'approvazione della Legge 104. La
 Legge 27 ottobre 1993, n. 423 ha dovuto specificare che quei permessi sono retribuiti. Altri sette anni e la Legge 8 marzo 2000, n. 53 ha chiarito che quei permessi sono anche coperti da contribuzione figurativa, cioè dai versamenti utili per il raggiungimento del diritto alla pensione. Circa la retribuzione e la copertura figurativa non sussistono pertanto oggi problemi interpretativi.

La condizione di handicap

Anche nel caso della concessione dei congedi retribuiti di due anni, come nel caso dei permessi lavorativi (art. 33, Legge 104/1992), la condizione essenziale è che il disabile sia stato accertato persona con handicap in situazione di gravità (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992). Non sono ammesse, a parte per i grandi invalidi di guerra e i soggetti con sindrome di Down, certificazioni di altro genere quali ad esempio il certificato di invalidità totale con diritto all'indennità di accompagnamento o frequenza. Chi non dispone del certificato di handicap deve attivare la procedura di 
accertamento presentando domanda all’INPS e presentandosi poi a visita presso la Commissione della propria Azienda Usl di residenza. Se questo accertamento riconoscerà l’handicap grave (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992) si potranno richiedere i congedi retribuiti di due anni qualora ricorrano anche le altre condizioni previste. Va anche ricordato che, nel caso il certificato di handicap grave venga revocato nel corso del congedo retribuito, il beneficio decade immediatamente. Così pure, il congedo non può essere concesso per un periodo che superi l’eventuale termine di validità dello stesso certificato di handicap. In entrambi i casi, infatti, manca il requisito principale per la fruizione del congedo.

I permessi lavorativi: le ferie e la tredicesima mensilità

Da anni uno dei quesiti più frequenti, relativamente ai permessi riconosciuti dalla
Legge 104/1992 ai lavoratori con disabilità e a quelli che assistono familiari con handicap grave, è stato incentrato sull'incidenza di tale beneficio su ferie e tredicesima mensilità. Chi usufruisce dei permessi lavorativi si è visto per anni decurtare talora le ferie, talora la tredicesima mensilità, talora entrambe, secondo il principio che tali prestazioni andavano commisurate ai giorni di lavoro effettivamente svolti. Solo di recente una serie di disposizioni e pareri hanno confermato che la fruizione dei permessi lavorativi derivanti dall'articolo 33 della Legge 104/1992 non incide negativamente sulla maturazione delle ferie e della tredicesima mensilità.

I permessi lavorativi e il certificato di handicap

La condizione prioritaria ed essenziale per accedere ai permessi lavorativi è che il disabile sia in possesso della certificazione di handicap con connotazione di gravità (
articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992). Non basta quindi la certificazione di handicap (articolo 3, comma 1), ma è necessario che la Commissione abbia accertato la gravità (articolo 3, comma 3) Il certificato di handicap viene rilasciato da un’apposita Commissione operante presso ogni Azienda USL e non va confuso con l’attestazione di invalidità (sia civile, che di servizio, del lavoro o di guerra). Il certificato di handicap, quindi, non può essere sostituito da eventuali certificati di invalidità, anche se questi attestano l’invalidità totale.

I permessi lavorativi: la domanda

I permessi lavorativi previsti dall'articolo 33 della Legge 104/1992 si ottengono, nel caso sussistano tutti i requisiti, dopo aver presentato formale richiesta e aver ricevuto la relativa concessione. Anche in questo caso c’è una sostanziale differenza fra i dipendenti pubblici e i lavoratori assicurati con l’INPS. In entrambi i casi, comunque, la domanda assume la forma di una autocertificazione in cui si dichiarano una serie di condizioni personali e del familiare cui si intende prestare assistenza: stato di handicap, parentela e affinità, dati anagrafici propri e del familiare e altre indicazioni, se richieste, relative alla continuità e all’esclusività dell’assistenza. Ulteriori indicazioni possono essere inserite rispetto alla modalità di fruizione (frazionata o per intero). Nel comparto pubblico la responsabilità e la discrezionalità di accogliere le domande sono attribuite ai dirigenti dell’amministrazione di riferimento (solitamente l’ufficio personale o delle risorse umane) che verificano la correttezza sostanziale e formale delle richieste. INPDAP e Ministero della Pubblica Amministrazione non hanno mai elaborato un modello unico di domanda dei permessi. Per gli assicurati INPS il percorso è diverso. Innanzitutto l’INPS, nel proprio sito (www.inps.it, sezione “Moduli”), oltre che presso tutte le sedi periferiche, garantisce ai propri assicurati la disponibilità dei moduli necessari alla richiesta dei permessi e dei congedi lavorativi. Bisogna però sapersi orientare. Il modulo Hand 1 è riservato ai genitori o affidatari di minori. Il modulo Hand 2 è rivolto ai genitori, ai familiari di portatori di handicap maggiori di tre anni e ai coniugi. Il modulo Hand 3 riguarda i disabili con handicap grave che lavorano. Modelli diversi sono previsti per la richiesta del congedo retribuito di due anni. Tutti i moduli devono essere accompagnati dal modulo Hand Agr nel caso in cui il richiedente sia un lavoratore agricolo. Superfluo precisare che questi modelli non valgono per gli assicurati INPDAP. Tutti i moduli devono essere accompagnati dal certificato di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992).La domanda viene presentata all’INPS che ne verifica la sola correttezza formale e ne dà l’assenso. Va poi presentata anche al datore di lavoro cui, di recente, è stata attribuita la competenza di verificare la correttezza sostanziale per l’accettazione della domanda. L’INPS ha precisato che una volta accolta la domanda non è più necessario ripresentarla annualmente a meno che le condizioni soggettive non siano modificate (esempio: la certificazione di handicap grave sia stata rivista o sia scaduta).

Sede di lavoro: scelta prioritaria e rifiuto al trasferimento

Coniugare le esigenze familiari con quelle lavorative è un'impresa difficile per tutti, ma lo è ancora di più per i lavoratori che assistono familiari disabili e per gli stessi lavoratori disabili. In queste difficoltà gioca un ruolo fondamentale la sede di lavoro: la scelta della sede di lavoro, la richiesta di trasferimento, il rifiuto al trasferimento. Di tali aspetti si occupano gli articoli
 21 e 33della Legge 5 febbraio 1992, n. 104
. Purtroppo l'esigibilità di tali diritti non è sempre così semplice.

La scelta della sede. I commi 5 e 6 dell'articolo33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile hanno diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Questa disposizione, proprio a causa di quel "ove possibile", si configura come un interesse legittimo, ma non come un diritto soggettivo insindacabile. Di fatto, quindi, l'azienda può produrre rifiuto motivandolo con ragioni di organizzazione del lavoro. Questa al momento è la tendenza interpretativa prevalente anche in sede giurisprudenziale. Le condizioni per accedere a questo beneficio sono comunque legate, per i familiari, all'assistenza continuativa ed esclusiva del congiunto con disabilità. Anche per questo beneficio, come per i permessi, non è richiesta la convivenza. Va precisato inoltre che l'interpretazione ormai prevalente e consolidata è che l'agevolazione riguardi le persone con handicap con connotazione di gravità, beneficiarie di tutte le agevolazioni previste dall'articolo 33 della Legge 104/1992. Questa annotazione è necessaria in quanto il comma 5 non indica esplicitamente la gravità dell'handicap. Una disposizione particolare (articolo 21) riguarda le persone handicappate "con un grado di invalidità superiore ai due terzi" o invalide per servizio di prima, seconda o terza categoria (Tabella A della Legge 10 agosto 1950, n. 648). Nel caso vengano assunti presso gli enti pubblici come vincitori di concorso o ad altro titolo, hanno diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili.

Il rifiuto al trasferimento. I commi 5 e 6 dell'articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile non possono essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede. Diversamente da quanto previsto per la scelta della sede, il rifiuto al trasferimento si configura come un vero e proprio diritto soggettivo. Si tratta infatti di una disposizione che rafforza ed estende quanto già previsto dal Codice Civile. All'articolo 2103 prevede, fra l'altro, che il lavoratore non possa essere trasferito da un'unità produttiva all'altra senza comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Il comma 5 dell'articolo 33 aggiunge a questa condizione, oltre alle ragioni appena illustrate, anche il consenso da parte dell'interessato. In caso di violazione si può ricorrere al Giudice con fortissime probabilità che l'azienda soccomba in giudizio.

Spese Mediche e Familiari a carico 

Le detrazioni Irpef per i
 familiari a carico variano in funzione del reddito complessivo posseduto nel periodo d'imposta. Sono previste detrazioni di base (o teoriche) il cui importo diminuisce con l'aumentare del reddito, fino all'annullarsi quando il reddito complessivo arriva a 95.000 euro per le detrazioni dei figli e a 80.000 euro per quelle del coniuge e degli altri familiari.In caso di figlio portatore di handicap la detrazione è di 1.620 € annue per bambino di età inferiore ai 3 anni e di 1.350 € annue per figlio di età superiore. Con più di tre figli a carico la detrazione aumenta di 200 euro per ciascun figlio a partire dal primo. Le spese mediche generiche e di assistenza specifica sostenute dai disabili sono interamente deducibili dal reddito complessivo. Le spese di "assistenza specifica" ( infermieristica e riabilitativa) sono deducibili dal reddito complessivo anche se sono sostenute dai familiari dei disabili che non risultano fisicamente a carico. Ai fini della deduzione e della detrazione sono considerati disabili, oltre alle persone che hanno ottenuto il riconoscimento della Commissione medica istituita ai sensi dell'articolo 4 della legge 104/92, anche coloro che sono stati ritenuti invalidi da altre Commissioni mediche pubbliche incaricate ai fini del riconoscimento dell'invalidità civile, di lavoro, di guerra, eccetera. Le spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale, nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti di vita quotidiana (non autosufficienza che deve risultare da certificazione medica), sono detraibili nella percentuale del 19%, calcolabile su un ammontare di spesa non superiore al 2.100 euro, purché il reddito del contribuente non sia superiore a 40.000 euro. Per il pagamento dell'imposta di successione e donazione, quando l'erede o il donatario è una persona portatrice di handicap, riconosciuto grave ai sensi della legge 104/92, l'imposta si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota e del delegato che supera l'ammontare di 1.500.000 euro.

Mobilità e barriere architettoniche 

Si applica l'Iva agevolata al 4% per l'acquisto di
 mezzi necessari alla deambulazione e al sollevamento dei disabili (es. serovscala) e per l'acquisto di sussidi tecnici e informatici rivolti a facilitare l'autosufficienza e l'integrazione dei portatori di handicap. Per lavori di ristrutturazione edilizia sugli immobili al fine di rimuovere le barriere architettoniche effettuati entro il 31 dicembre 2013, è possibile fruire della detrazione Irpef del 50% (aumentato rispetto al precedente 36%) sulle spese di ristrutturazione edilizia per un tetto di spesa massima di 96mila euro. Rientrano tra queste, oltre alle spese sostenute per l'eliminazione delle barriere architettoniche riguardanti ad esempio ascensori e montacarichi, anche quelle effettuate per la realizzazione di strumenti che, attraverso la comunicazione, la robotica e ogni altro mezzo tecnologico, siano adatti a favorire la mobilità interna ed esterna delle persone portatrici di handicap grave, ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 104/92.

Servizi a domicilio e numeri utili 

L'Agenzia delle Entrate ha attivato un servizio di assistenza per i contribuenti con disabilità , impossibilitati a recarsi presso gli sportelli degli Uffici o che hanno comunque difficoltà ad utilizzare gli altri servizi di assistenza dell'Agenzia stessa. Informazioni aggiornate sul servizio di assistenza domiciliare si possono trovare sul sito www.agenziaentrate.gov.italla sezione "Uffici - Assistenza dedicata ai contribuenti con disabilità ". È possibile ottenere informazioni telefoniche tramite i centri di assistenza telefonica, che rispondono al numero 848.800.444 dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 17.00 e il sabato dalle 9.00 alle 13.00.


EPILESSIA E PATENTE
Le persone affette da epilessia possono ottenere la patente, se alcune condizioni sono soddisfatte, dietro presentazione alla Commissione Medica locale di un modulo che deve essere compilato e firmato da un neurologo di struttura pubblica.
La normativa vigente ha accolto le Direttive della Comunità Europea del 2009 e consiste nel Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, pubblicato sulla G.U. del 27/12/2010, con successivi regolamenti attuativi contenuti nel Decreto Legislativo del 18/4/2011 (GU n. 99 del 30/4/2011) e nella Circolare del Ministero della Salute del 25/7/2011. Rispetto al passato, quando per ogni forma di epilessia era richiesta l’assenza di crisi da almeno due anni, attualmente è sufficiente un periodo libero da crisi di almeno un anno per poter richiedere o rinnovare la patente A e B.
La nuova normativa inoltre introduce la distinzione fra epilessia (due o più crisi epilettiche non provocate a distanza di meno di cinque anni una dall’altra) e crisi epilettica provocata (scatenata da una causa identificabile e potenzialmente evitabile), quest’ultima compatibile con la guida se il fattore provocante non si ripeterà. Inoltre, fra le epilessie si distinguono le forme caratterizzate da crisi esclusivamente in corso di sonno e quelle con crisi senza effetto sullo stato di coscienza e sulla capacità di azione (in questi casi la patente può essere concessa dopo un periodo di osservazione di almeno un anno, in assenza di altri tipi di crisi). La ricorrenza di crisi dopo la sospensione del trattamento (per decisione del neurologo) in chi è senza crisi da periodi prolungati vieta la guida per soli tre mesi, qualora la terapia sia ripristinata.
Un fatto ancora più significativo è il riconoscimento da parte della nuova legge del concetto di guarigione: dopo 10 anni senza crisi epilettiche e senza terapia, le persone sono dichiarate clinicamente guarite dall’epilessia e non sono più soggette a restrizioni. Le persone che invece non hanno crisi da almeno cinque anni ma assumono ancora farmaci potranno avere un periodo di idoneità alla guida maggiore di quello regolarmente autorizzato (due anni), a discrezione della Commissione Medica Locale.
Tutte le regole sopra descritte valgono per le Patenti A e B. Le Patenti cosiddette commerciali (C, D ed E) sono sottoposte a limitazioni maggiori: in questi casi è richiesto che la persona non abbia crisi e non assuma farmaci da almeno dieci anni (che sia quindi guarito dall’epilessia) ma anche che l’EEG non presenti alterazioni di tipo epilettico. Da tenere comunque in considerazione che anche in questo caso i vantaggi della nuova normativa sono notevoli in quanto la precedente legge escludeva del tutto la possibilità di ottenere le patenti commerciali, anche a chi era formalmente guarito.


EPILESSIA E GRAVIDANZA
Le donne con epilessia presentano problemi aggiuntivi legati alle variazioni ormonali che regolano la loro vita in ogni sua fase: il ciclo ovarico, la contraccezione, la gravidanza, il parto, l'allattamento e infine la menopausa. 
In alcune donne è possibile osservare la comparsa o l'incremento della frequenza delle crisi in concomitanza con il periodo mestruale (appena prima, durante o appena dopo), si parla così di epilessia o di crisi catameniali. 
La terapia ormonale, a scopo contraccettivo, non è controindicata nelle donne con epilessia. Va però precisato che alcuni farmaci antiepilettici, in particolare quelli di "vecchia" generazione, come la carbamazepina, la fenitoina e i barbiturici, ne riducono l'effetto. Per aumentare il potere contraccettivo bisognerebbe quindi ricorrere a pillole con una maggiore concentrazione di estrogeni o utilizzare altri metodi anticoncezionali. I farmaci antiepilettici di più recente generazione hanno invece una minore interferenza con la pillola contraccettiva consentendone l'utilizzo. Riguardo alla fertilità non esistono chiare dimostrazioni scientifiche che l'epilessia renda le donne che ne sono affette meno fertili , anche se è indiscutibile che dalle donne con epilessia nascano meno figli rispetto alla popolazione femminile generale, probabilmente per l'influenza di fattori psicosociali   ( difficoltà nel trovare un partner che accetti la malattia, paura di generare un figlio con lo stesso problema, ecc...) 

L’epilessia è una patologia ancora ‘misteriosa’, per chi la vede dall’esterno, sulla quale esistono ancora tanti tabù e pregiudizi. Non ultimo quello secondo il quale una donna affetta da epilessia deve rinunciare al desiderio di diventare mamma. E invece oggi, grazie a nuove tipologie di farmaci, l’epilessia può essere efficacemente tenuta sotto controllo e consentire tranquillamente di vivere l’esperienza della maternità, anche se sarà inevitabile adottare maggiori attenzioni.
È fondamentale, perciò, che la gravidanza venga pianificata, di comune accordo con il neurologo e il ginecologo che seguono la paziente, e che la patologia venga trattata e monitorata adeguatamente nel corso dei nove mesi. L'epilessia di per sè non crea problemi rilevanti nè durante la gravidanza, nè durante il parto ( che può avvenire tranquillamente, in modo naturale ), con l'eccezione di tutte quelle situazioni in cui le crisi sono molto frequenti ed intense tanto da poter compromettere la capacità di collaborazione della donna durante il travaglio. In questi casi è consigliabile ricorrere ad un parto programmato con taglio cesareo, che può essere effettuato sia in anestesia generale che epidurale.
Il problema principale riguarda invece l’utilizzo dei farmaci antiepilettici assunti durante la gravidanza che possono indurre malformazioni fetali (teratogenesi) di entità variabile nei primi tre mesi di gravidanza. Il rischio di malformazioni aumenta di 2-3 volte rispetto alla popolazione generale. E’ noto che alcuni farmaci hanno una maggior probabilità di teratogenesi e, mentre sono ben noti gli effetti dei vecchi farmaci poco si sa ancora dei nuovi. D’altro canto bisogna considerare che l’insorgenza di una crisi epilettica di una certa entità, soprattutto durante il primo trimestre di gravidanza, può essere particolarmente pericolosa, poiché provoca una riduzione dell’ossigenazione al bambino e questo potrebbe causare un parziale distacco di placenta o danni malformativi anche molto seri. Tali rischi, però, possono essere notevolmente ridotti dalla scelta di nuovi farmaci che possiedono un profilo di sicurezza maggiore, e dosando con attenzione il farmaco nel corso dei nove mesi, anche se il rischio teratogeno non può essere mai completamente azzerato. La gravidanza deve quindi essere programmata cominciando per tempo ad assumere la terapia con acido folico e semplificare lo schema terapeutico. Nei centri specializzati nella cura delle epilessie le donne vengono seguite con controlli più accurati e più frequenti dal ginecologo-ostetrico e dal neurologo-epilettologo e il percorso viene condiviso dai due specialisti.
Come deve essere modificata la terapia.
Dal momento in cui si desidera programmare una gravidanza, è opportuno semplificare il più possibile la terapia antiepilettica fino ad assumere – idealmente, perché non sempre è possibile mantenere un’adeguata protezione – un solo farmaco scelto tra quelli meno teratogeni e al dosaggio minimo efficace. Salvo casi ben precisi, invece, non è quasi mai raccomandabile sospendere del tutto la terapia, poiché i rischi in caso di crisi potrebbero essere maggiori dei benefici. La posologia dovrà poi essere adeguata nel corso della gravidanza: le modifiche fisiologiche che avvengono in gestazione, come l’aumento di peso e del volume corporeo, possono infatti diluire la concentrazione del farmaco nel sangue, per cui ogni tre settimane circa sarà necessario controllare i livelli ematici della sostanza assunta per evitare che scenda sotto la soglia di guardia e favorisca lo scatenamento delle crisi. Va evidenziato, inoltre, che nelle donne affette da epilessia la supplementazione con acido folico già prima del concepimento – allo scopo di prevenire difetti a carico del tubo neurale come la spina bifida – assume un’importanza ancora più rilevante, poiché quasi tutti i farmaci antiepilettici interferiscono con l’assorbimento di vitamina B12 e acido folico. Di conseguenza, occorrerà assumere scrupolosamente i dosaggi raccomandati, solitamente di 0.4 mg al giorno.
Le variazioni della malattia nel corso dei nove mesi.
L’andamento del disturbo è in gran parte determinato dai passi fatti sin dall’inizio della gravidanza: un buon controllo delle crisi, l’adozione di una monoterapia – quando possibile – e l’adozione di corrette abitudini sono tutti fattori ‘protettivi’. Oltre alla terapia farmacologica, infatti, è importante aderire a uno stile di vita il più regolare possibile, garantendo il riposo notturno, evitando qualunque sostanza stimolante e situazioni a forte carica emotiva che possano risultare stressanti e che quindi potrebbero – ma il condizionale è d’obbligo – costituire un fattore scatenante.
Il figlio di madre epilettica ha maggiori probabilità di sviluppare il disturbo?
Una lieve predisposizione esiste, come nel caso di molte altre malattie, ma si tratta di un rischio di poco superiore rispetto a chi non nasce da madre epilettica.
Esami o monitoraggi specifici durante la gestazione.
Generalmente non sono necessari controlli diversi rispetto a quelli effettuati per le gravidanze comuni, a eccezione del dosaggio dei livelli plasmatici del farmaco antiepilettico e a un monitoraggio periodico con elettroencefalogramma, raccomandabile prima della gravidanza e poi ogni tre-quattro settimane: un esame strumentale che consente di misurare l’intensità delle anomalie epilettiformi e di cogliere eventuali segnali premonitori di una crisi, in modo da intervenire preventivamente con l’adeguamento della terapia.
Travaglio e parto.

Il travaglio e il parto sono momenti un po’ più critici per una serie di fattori, tra cui lo ‘stress’ indotto dall’evento, le rapide modifiche di parametri fisiologici come la concentrazione di certe sostanze nel sangue e l’iperventilazione, che possono favorire l’attività epilettica a livello cerebrale. È raccomandabile, quindi, rivolgersi a un centro ostetrico attrezzato e preparato all’evenienza di una crisi, che richiederebbe la somministrazione tempestiva di farmaci per via endovenosa e un monitoraggio delle funzioni vitali del feto, per poter intervenire anche d’urgenza qualora necessario.
È da evidenziare che in donne epilettiche che assumono il trattamento per tutta la gravidanza, l’incidenza di parti prematuri è un po’ più elevata. Analogamente più elevata è la possibilità di generare bambini lievemente sottopeso rispetto all’età gestazionale.
Per quanto riguarda il tipo di parto, la donna può partorire tranquillamente per vie naturali, ma è sconsigliabile il parto in acqua, che se si verificasse una crisi aumenterebbe il pericolo per la madre e per il feto. Nessuna problema a sottoporsi all’analgesia epidurale o ad affrontare un’anestesia in caso di cesareo, l’importante è che l’anestesista sia al corrente della patologia e dei farmaci assunti dalla donna.
Nessuna controindicazione, infine, per l’allattamento al seno. Quest'ultimo non solo non è controindicato ma è consigliabile anche per i vantaggi psicologici che ne derivano. I farmaci assunti dalla madre sono in genere scarsamente concentrati nel latte e solo nel caso dei barbiturici e delle benzodiazepine si potranno avere effetti sedativi nel bambino, transitori. Inoltre durante la gravidanza i farmaci assunti dalla madre arrivano al feto attraverso il sangue e in realtà, se dopo la nascita il bambino non viene allattato al seno, si potrà avere una vera e propria sindrome da “astinenza”.
Nei primi giorni e mesi di vita del bambino la donna è più esposta al rischio di crisi per la perdita di sonno, e per la situazione di aumentato stress che la nascita comporta, si devono pertanto adottare poche regole comportamentali che mettano al riparo dal rischio di crisi e di conseguenti cadute che si possono verificare durante l’allattamento. L’allattamento dovrebbe avvenire in posizione distesa, a letto o su un tappeto, durante la notte la madre potrebbe evitare il risveglio tirandosi il latte e lasciare che sia il partner ad allattare il neonato con il biberon al posto suo.

Epilettologo e neonatologo supporteranno la donna anche in questa fase di post-partum già per natura particolarmente delicata che potrebbe incrementare stati ansia e depressione, rendendo talvolta necessario un sostegno psicologico.




LE EPILESSIE FARMACORESISTENTI
Si definisce resistente una epilessia che non risponde alla terapia farmacologica condotta in maniera corretta (farmaci e dosi adeguate). È comunemente accettato che devono essere stati utilizzati almeno 2-3 farmaci, per un periodo di osservazione di almeno due anni. È fondamentale un resoconto accurato delle crisi, che non sempre è facile (per disattenzione, quando le crisi son inavvertite dal paziente o avvengono nel sonno). Nella definizione di resistenza va inclusa anche la gravità clinica delle crisi (caduta, perdita non preannunciata della coscienza, attività a rischio). Il numero di questi pazienti è ragguardevole. Le stime più comunemente accettate valutano attorno al 20% i pazienti che non rispondono alle terapia farmacologia. Sicuramente non si scende sotto al 10%, e almeno il 60% di questi pazienti sono affetti da epilessie focali. Il calcolo teorico sui pazienti italiani consente perciò di stimare che su 400.000 pazienti con epilessia, almeno 40.000 – 80.000 pazienti sono farmaco-resistenti, a seconda che si consideri la percentuale restrittiva del 10% o la percentuale estensiva del 20% di farmaco-resistenza, con un incremento annuo di 2000 nuovi casi.
Le cause della resistenza sono in larga parte individuali e non sempre chiare, e si attendono lumi dalla ricerca genetica. I meccanismi più probabili sono due: 1) la mancata risposta dei recettori sui quali i farmaci dovrebbero agire a causa di una refrattarietà costituzionale o acquisita nel corso della ripetizione delle crisi; 2) l’impossibilità dei farmaci di raggiungere i recettori a causa di alcune proteine di trasporto che “afferrano” le molecole del farmaco e le trasportano al di fuori del tessuto nervoso. Ognuna di queste teorie possiede argomenti a favore e contrari. Va esclusa la “pseudo-resistenza”, quando il paziente non assume regolarmente i farmaci o non tutte le sue crisi sono di natura epilettica (i pazienti con crisi epilettiche possono presentare anche crisi di natura ansiosa o da abbassamento della pressione arteriosa). Un’attenta investigazione della storia clinica, l’osservazione video-EEG delle crisi, dosaggi periodici dei farmaci nel sangue e la responsabilizzazione dei parenti possono essere di grande aiuto. Bisogna anche tenere presenti i possibili errori di diagnosi: in età giovanile le pseudo crisi e le sincopi vegetative, cioè da ipotensione arteriosa in posizione eretta, anche ma di origine cardiaca (sindrome del Q-T lungo); in età adulta e senile le sincopi cardiogene da irregolarità del ritmo (specie da blocco della conduzione fra atrio e ventricoli) sono condizioni che possono essere erroneamente diagnosticate come epilessia.
I fattori di rischio principali per una vera resistenza sono:
      • esordio precoce delle crisi
      • alto numero di crisi fino dall’inizio
      • crisi a grappolo o stati di male
      • più tipi di crisi
      • dimostrazione di una lesione organica o lesioni plurifocali
      • presenza di segni neurologici
      • EEG molto alterati
Il tempo necessario per concludere che una epilessia è resistente varia a seconda della frequenza delle crisi, ma poiché i casi resistenti mostrano abitualmente crisi frequenti (plurimensili, plurisettimanali o peggio) è inutile prolungare l’osservazione oltre i 3-4 anni, e l’uso ragionato dei farmaci oltre i 3-5 schemi terapeutici. Alcuni autori riducono il periodo necessario a “decretare” la farmaco-resistenza a un solo anno. È noto infatti che il successo della terapia farmacologica diminuisce radicalmente quando il primo e il secondo farmaco hanno fallito. Secondo uno studio statistico effettuato in Gran Bretagna (Kwan e Brodie, N. Eng.J.Med – 342: 3149, 2000), le percentuali di successo sono le seguenti:
      • con il 1° farmaco: 47%
      • con il 2° farmaco: 13%
      • con il 3° farmaco: 1%
      • con una biterapia: 3%
      • pazienti totalmente resistenti: 36%


LA DIETA CHETOGENICA
Attualmente l’epilessia è considerata una malattia curabile nel 70/80% dei casi. Diverse sono le strategie di trattamento: mono o politerapie farmacologiche, l’ablazione chirurgica della zona e/o lesione epilettogena, la stimolazione del nervo vago e la dieta chetogenica.
La dieta chetogenica è una dieta normocalorica, ad alto contenuto di grassi e basso contenuto di zuccheri, il cui nome deriva dal fatto che questo tipo di alimentazione porta alla formazione dei “corpi chetogeni”.
La dieta chetogenica non è una scoperta recente. Essa, infatti, ha origini antiche che datano fin dai tempi di Ippocrate, epoca in cui fu osservato una riduzione delle crisi convulsive in corso di digiuno. A partire dagli anni ’20, negli Stati Uniti, si inizio a indurre lo stato metabolico del digiuno mediante una modificazione della dieta, come trattamento delle crisi epilettiche. All’inizio degli anni 90, sostenuta dall’onda mediatica di un film per la TV “First do no Harm –Un passo verso il domani”, interpretato da Meryl Streep, la dieta chetogenica è stata riproposta al mondo scientifico dalla John Hopkins University, secondo protocolli strutturati, come trattamento alternativo per i soggetti con epilessia farmaco resistente. Studi scientifici hanno confermato, in supporto alle osservazioni cliniche, una riduzione dell’eccitabilità e della trasmissione neuronale. Tale trattamento viene proposto attualmente come ulteriore strumento terapeutico nella cura delle epilessie resistenti al trattamento farmacologico e in alcune specifiche patologie con epilessie.
A Bologna questa particolare dietoterapia è stata introdotta nel 1997 dall’Ospedale Bellaria ad opera dell’Unita Operativa di Dietologia su invito dell’Unità Operativa di Neurologia. A partire dal 2004 anche la Unita Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Maggiore, (oggi l’U.O. opera presso l’Ospedale Bellaria IRRCS) ha iniziato ad utilizzare la dieta in età pediatrica. Ad oggi i pazienti pediatrici che hanno seguito questo trattamento sono oltre 20 e circa la metà hanno ottenuto la riduzione di più del 50% delle crisi. In alcuni pazienti è stato possibile anche ridurre la terapia farmacologica.
La dieta chetogenica modifica le abitudini alimentari e per la sua corretta applicazione richiede in ambito ospedaliero l’intervento in equipe del dietologo e del medico epilettologo e in ambito extraospedaliero il coinvolgimento di tutto il contesto familiare e della scuola. Pertanto necessaria un’adeguata selezione e preparazione dei pazienti e dei familiari. La dieta chetogenica è una dieta personalizzata da utilizzare per periodi transitori,che per quanto possibile e nel rispetto dei protocolli stabili, si adatta alle esigenze del paziente. Attualmente esistono diversi protocolli che differiscono tra di loro per qualità e quantità dei grassi contenuti e che consentono una maggiore adattabilità. Viene impostata nel corso di un ricovero ospedaliero, eseguita dopo le dimissioni nel tempo con controlli ambulatoriali dietologici e neurologici ogni 3-6 mesi.
La dieta chetogenica rappresenta oggi uno strumento di trattamento delle epilessie valido in supporto alla terapia farmacologica. Anzi quando è efficace, può consentire una riduzione del “carico” farmacologico influendo cosi positivamente sullo sviluppo psico-motorio e cognitivo del bambino. In molti bambini, inoltre si è osservato anche un miglioramento della capacità attentiva.





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